Passaggi, movimenti, migrazioni 2016
di Lidia Curti
Non vedete voi che quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa, e cossì oltre, per venire a tutte forme naturali? (Giordano Bruno, De la causa, principio et uno)
Un rizoma non incomincia né finisce, è sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo. … Un movimemto trasversale che le trascina, l’una dall’altra, ruscello senza inizio né fine, che erode le due rive e prende velocità nel mezzo. (Gilles Deleuze, Felix Guattari, Rizoma. Millepiani)
L’opera del collettivo artistico Laloba, femministe che agiscono nel meridione di Italia dal 2001, oggi il duo di Anna Crescenzi e Renata Petti, si muove tra scultura, architettura, azioni performative e montaggi video, ampliandosi spesso a vere e proprie installazioni ambientali. Nella recente opera allo Happy Hearth Day (Pan, Napoli, aprile 2016) tre baccelli costruiti con rami di nocciolo – che appaiono in varie loro opere – e contenenti semi di Acanto, Ruta e Aconito, piante medicinali della Scuola Medica Salernitana, il più antico orto botanico italiano, esprimono il continuum tra mondi diversi, natura, cultura, ambiente, in questo caso i contesti meridionali della loro arte. Quest’opera che sembrerebbe minimale riprende motivi e materiali di lavori precedenti di maggior mole riconfermando l’intento e il pensiero che le attraversa tutte.
I semi sono rottura epistemologica, ponte tra il passato e il presente dell’opera e dell’evento e riconducono a Giordano Bruno che è presenza importante nella loro opera. Il legame al suo pensiero è direttamente espresso nella installazione “La cena delle ceneri” (2009), il libro di Bruno in acciaio all’interno di una grande spirale di pali di castagno e rami di legno, che rimanda alla circolarità e all’apertura del pensiero del nolano. Il contrasto tra acciaio o ferro e rami di legni vari, nocciolo, castagno e altri, bianco e nero, freddo e caldo, concretezza e ariosità è il leit motif di molte installazioni, tra cui il bellissimo Arca, realizzato a Nocelle nel piccolo borgo del positanese.
Nella concatenazione tra arte e natura, le loro opere sono ispirate al luogo e alla terra nella loro materialità ma anche nel loro radicamento storico, filosofico, mitologico e immaginativo – corporeo e incorporeo – tra la materia infinita di Giordano Bruno e le tre ecologie, ambientale, sociale e umana, di Felix Guattari. Il loro lavoro riflette sul rapporto tra il linguaggio della natura e quello dell’arte, ambedue produttrici di realtà, mostrando superficie e profondità, radice e germoglio. Le metamorfosi di forme, modi e linguaggi seguono il percorso suggerito dall’uso di materiali che sono in costante cambiamento, il legno, da loro prediletto come materia che ha vita e respira, la corda, la canapa, la paglia – un viaggio all’indietro, verso l’inconscio, uno scavo nella memoria. Nella concatenazione organica tra mondo vegetale, animale e umano Laloba mostra che non c’è mai nulla di semplice, di originario, di ultimo. E che l’unico va rappresentato nella molteplicità.
La contaminazione è tema sociale che percorre il pensiero attraverso l’immagine che si fa politica e poesia. La ricerca filosofica sottesa all’arte di Laloba passa da utopia a distopia nelle sculture di Umano Disumano, dove frutta e fiori, pur conservando colori brillanti, si deformano, in una distorsione della bellezza naturale che senza paura lascia la rappresentazione convenzionale del bello in natura a favore della sottolineatura dolente delle offese che incuria e profitto vengono dall’epoca in cui viviamo. Tale distorsione appare anche nelle metafore che accompagnano alcune delle ricostruzioni di animali, come rane o api, con ‘la pioggia delle rane’, ‘farsi sciame’, ove nella commistione di elementi incommensurabili il linguaggio della natura si fa filosofia. Dall’ambiente all’economia, lo sguardo severo e impietoso mette sotto accusa altre distorsioni, tra cui l’idea di progresso che riduce la crescita e il cammino di una civiltà alle dinamiche di mercato. L’ironia del titolo di Kill Pil (Uccidi il Prodotto Interno Lordo) mette sotto accusa l’abbandono di fattori come il senso della comunità, quello di appartenenza, la qualità della vita che da umana si fa disumana.
Gli animali che appaiono nella loro opera – le ‘piccole persone’ di Annamaria Ortese cui sono dedicati tre dei suoi grandi romanzi – testimoniano la continuità tra mondo naturale e umano, quali microcosmi di organizzazione sociale, veri e propri mondi autonomi che svolgono un processo parallelo come su un altro pianeta, poi intersecano il pensiero umano. Ape, formica e rana sono dei superorganismi, per la loro complessa organizzazione sociale, creatrici in miniatura di un mondo alla pari di quelli fantascientifici di tanta letteratura. La trilogia della scrittrice nera americana Octavia Butler, Xenogenesis, crea una potente metafora narrativa nella nave fatta tutta di materia viva in cui convivono i pochi superstiti terrestri e una diversa specie dopo la catasrofe ecologica che ha distrutto la terra.
Nella cornice dell’evento Land Art, che si svolgeva nel cratere degli Astroni, nei Campi Flegrei, Laloba ha costruito una grande formica, fatta di paglia e materiali raccolti nel cratere stesso. L’ispirazione dell’opera era la migrazione, fondamentale nella vita di animali e piante, associata in questo caso alla minaccia proveniente dalla natura vulcanica di quel luogo, ancora oggi animato da attività tellurica. La loro formica è in transito, pronta a emigrare, sensibile com’è alle variazioni sia pur minime dei campi magnetici, in grado di ricevere qualunque segnale di movimento terrestre: l’abbandono di un nido di formiche può essere segnale di un terremoto vicino. La formica appare anche nell’istallazione di una casa fatta con rami di noce, accanto al video Nel profondo annegare io semino che ha vinto il concorso ART I CARE Insideart (2013).
… è morto il miele? propone un’ape con un corpo di paglia e fieno, zampe e antenne realizzate con rami di nocciolo. La scultura era parte di un’azione performativa che metteva in scena una danza simile a quella delle api nel ritorno all' alveare dopo aver trovato un fiore particolarmente ricco di nettare, con movimenti che indicano la presenza e la posizione del cibo, organizzano la raccolta successiva, o segnalano situazioni di pericolo – una sorta di internet biologico che mette in sintonia i cervelli di tutte le abitanti dell’alveare. Nel romanzo di Laline Paull, The Bees (Le api), l’autrice costruisce un mondo in miniatura come misura dell’universo tutto, una vera e propria saga con rivalità e battaglie, faide religiose e rigide gerarchie in cui l’ascesa di un’ape operaria attraverso i cui occhi osserviamo le complesse geografie e le danze rituali di questo microcomo diviene un’epica eroica.
Altri animali sono apparsi nella loro opera: in Rami Fossili (Capriati al Volturno, progetto ‘Villaggio dell’arte’, 2006) un grande pesce fossile costruito con i rami degli alberi richiama l’incrocio di terra e mare che è fondamentale nell’humus della Campania. Accanto L’albero della poesia, che assicurava la partecipazione di bambini e adulti di Capriati al Volturno con le loro poesie, proponendo l’interazione con i luoghi anche attraverso i laboratori che fanno del loro lavoro dei veri e propri interventi e azioni. La rana, animale duale con grande capacità di trasformazione, diventa metafora politica: associata nella sfera spirituale alla rinascita e al mutamento, simbolo di grande fortuna nell’agricoltura, viene utilizzata e torturata nei laboratori di sperimentazione, ricerca medica e scientifica. Allo stesso tempo trova posto in grandi opere del pensiero e del linguaggio umano attraverso metafore che punteggiano il trascorrere del tempo.
Le forme degli animali – rane, api, formiche, il pesce fossile – cambiano nelle dimensioni come quelli che accompagnano Alice nel suo viaggio sotterraneo nel paese delle meraviglie e si muovono tra il dentro e il fuori, fanno capolino e spariscono, guidandola con i loro enigmatici discorsi nel suo itinerario. Gli animali di Laloba dal chiuso escono all’aperto, dalla galleria passano agli spazi aperti di un parco archeologico o naturale fino alla passeggiata nello spazio urbano, in un rapporto giocoso e partecipativo con i suoi abitanti. In ciascuno di questi casi le opere trovano prolungamento e si ampliano agli aspetti mitologici, scientifici, storici cui la ricerca delle artiste li conducono e assumono la dimensione di superorganismo che attraversa regni diversi.
Lo scavo nella memoria avviene nel passaggio dalla concretezza dell’oggetto-simulacro da loro creato all’immagine presente nella filosofia e nella letteratura dall’antichità a oggi, o nella cultura popolare e le espressioni colloquiali o proverbiali, come i modi di dire che sono traccia della presenza degli altri essere nel linguaggio. L’immagine è al centro del teatro immoto della galleria che si anima nel racconto, la narrazione si coagula in un oggetto o una serie di oggetti collegati nel movimento tra passato e presente per effetto di questi fili, talvolta materialmente rappresentati da libri o da citazioni o rimandi video, sempre nella risonanza mentale di chi guarda. La migrazione, motivo tematico dominante nella loro opera, è anche quella che ciascuna opera segue nell’itinerario tra l’uno e l’altro aspetto.
Come dice la filosofa e artista Bracha Ettinger (The Matrixial Borderspace, 2006) c’è nel loro lavoro l’attuazione di arte come processo, in azione e movimento, mai oggetto finito in sé, nella complessa configurazione di tempo-spazio-evento, l’evento-incontro che porta l’arte di Laloba qui e ora.